di GIORGIO MENCHINI
Di agroecologia si parla e si scrive sempre di più negli ultimi anni. Ma le parole che hanno successo smarriscono talvolta lungo la strada il loro senso originario e la loro forza trasformatrice. Così l’agroecologia, nelle politiche delle istituzioni e nella percezione delle persone, si confonde spesso con altre discipline, centrate sulla ricerca di soluzioni sostenibili in campo agricolo. Perdendo in questo modo ciò che più la caratterizza: quel salto concettuale e pratico che la proietta oltre la sostenibilità dei processi produttivi, per occuparsi in modo integrato del cibo come centro di una complessa rete di relazioni di tipo ambientale, economico, sociale e politico, di cui si deve tener conto in tutti i passaggi che riguardano la sua produzione, distribuzione e consumo. Con un obiettivo che non è quello di promuovere interventi separati, e necessariamente parziali, ma un cambiamento di sistema. Come sintetizza in modo efficace la Fao nella definizione che dell’agroecologia ha dato nel 2015: “L’agroecologia è un approccio integrato che applica simultaneamente concetti e principi ecologici e sociali al disegno e alla gestione dei sistemi agroalimentari, per trasformarli in sistemi equi e sostenibili.
Integrazione e trasformazione sono le parole chiave, dunque, per intenderne il significato, ma anche partecipazione: perché l’agroecologia non va alla ricerca di prescrizioni standard, valide ovunque, ma di soluzioni ad hoc, ritagliate sulle caratteristiche socio-ambientali di una molteplicità di contesti che sono il risultato di una co-evoluzione delle comunità umane e degli ecosistemi. Per questo essa cerca le sue risposte nell’incontro fra le conoscenze locali con la conoscenza scientifica globali. La valorizzazione dei saperi tradizionali, accompagnata dall’acquisizione dei punti di vista di tutti gli attori coinvolti, è un fattore chiave di empowerment di soggetti che rivestono un ruolo importante, spesso sottostimato. nelle economie locali del cibo. Ma è soprattutto condizione decisiva per identificare le soluzioni più adatte alla diversità dei contesti. Parte integrante di queste soluzioni riguardano i nodi legati alla dignità, all’equità, all’inclusione e alla giustizia. Perché tutto deve tenersi insieme: la tutela dell’ambiente e la conservazione degli ecosistemi deve andare di pari passo con la difesa e la promozione dei diritti delle donne, delle comunità indigene, dei gruppi sociali vulnerabili. Si devono offrire opportunità di lavoro dignitoso e qualificato ai giovani, generare reddito, fornire una base solida e duratura per vincere la povertà e la denutrizione.
L’agroecologia diventa parola vuota, al di fuori di questo processo radicale di cambiamento, che vede al centro un ritrovato rapporto con la terra, e alla testa le donne e i giovani. Le donne, che svolgono un ruolo centrale nella produzione del cibo, ma sono relegate ai margini dei processi decisionali da una cultura patriarcale ancora dominante. I giovani, cui devono essere offerte le condizioni per restare alla terra. Garantendo prima di tutto per loro, come per le donne, il riconoscimento del diritto alla terra, condizione per contare di più, e progettare il futuro. Di tutto questo parleremo nel numero di Babel “Oltre il verde“.