Intervista a NELILE NKAMBULE di ANNA MELI
Si definisce bisessuale ma soprattutto scrittrice e disgregatrice di norme. Notsile Nelile Nkambule, 28 anni, è un’attivista impegnata nel suo Paese natale, il Regno di Eswatini, e in Africa Australe per i diritti Lgbtqia+. Nell’ultimo anno è diventata nota anche come podcaster, come tale affronta questioni sociali “sensibili” per il contesto locale. Sesso, amore, denaro, abusi, matrimonio, maternità, standard di bellezza sono alcuni degli argomenti discussi.
“Sono nata e cresciuta in un piccolo villaggio Inkhundla Siphofaneni. Sono l’ultima figlia del secondo matrimonio di mio padre. Sono l’unica laureata della mia famiglia. Ho avuto il privilegio di andare all’Università di Pretoria e mi sono laureata in Relazioni Internazionali. Nel giro di 6 mesi tra la fine del 2020 e il marzo di quest’anno ha pubblicato 2 libri, “Nyeti; the Becoming” e “Temasele; Making the team”.
Quando è iniziata la tua militanza e il tuo attivismo?
Ho iniziato ad essere consapevole delle questioni di genere fin da piccola perché mia madre era di fatto la capofamiglia. Nei matrimoni poligami la donna è l’unica che si occupa della cura e il sostentamento dei figli. Mia madre è sempre stata un esempio per me di donna empowered ma non ero così consapevole del divario (unbalance) di genere a livello di società più in generale. Il punto di svolta è stato quando mi sono resa conto del livello di rispetto e libertà che i maschi avevano e noi no. Ho iniziato fin da allora, avevo 14 anni, a dire in modo schietto quello che pensavo e pretendere di essere ascoltata e rispettata come lo erano i ragazzi, come tutti gli essere umani dovrebbero essere allo stesso modo. Ho iniziato a sognare un mondo dove non mi sarei sentita inferiore perché donna e perché donna di un villaggio rurale. Esporsi in un ambiente culturale come quello in cui sono cresciuta non è stato facile. Quando si decide di schierarsi su questi temi in questi ambienti si è coscienti che non si troveranno molte alleati, neppure nelle altre ragazze.
Cosa significa oggi per te essere una femminista?
Da certi punti di vista direi che oggi è più facile essere una femminista oggi in Africa perché c’è più consapevolezza di prima dei nostri diritti e se ne parla di più. Dall’altro lato però è aumentato il livello di odio verso il femminismo e chi si batte per i diritti Lgbtqia+. Dire di essere femminista oggi significa mettersi un bersaglio sulla schiena. Diventi un bersaglio sui social, per strada, aumentano i rischi di aggressioni non solo verbali ma fisiche. Per me questo è un segno che il pensiero femminista e l’empowerment delle donne possono avere un grande peso nel cambiare la situazione e quindi sono considerati una minaccia.
Da disgregatrice di norme quali sono le prime che abbatteresti se potessi?
In Eswatini la questione della proprietà della terra che è centrale: ottenere la proprietà della terra è difficile perché hai bisogno di un marito o di un figlio maschio per averne la proprietà. Essendo un Paese a prevalenza rurale questa è una delle questioni centrali perché se non hai la terra, non puoi diventare proprietaria di un’attività agricola e quindi avere reddito e autonomia. La seconda norma che cambierei riguarda la possibilità di una donna Swazi di passare la cittadinanza ai figli, cosa che oggi non è possibile perché la nazionalità viene trasmessa solo dai padri ai figli, e questo costituisce un grosso problema per le madri single o che hanno un marito non Swazi.
Se potessi fare un appello alle giovani generazioni che cosa diresti?
Non è più sufficiente che le donne siano consapevoli che hanno gli stessi diritti degli uomini come essere umani, è tempo che le donne rivendichino questi diritti. È tempo di smettere di avvalorare il patriarcato. Le donne che hanno una posizione di leadership devono sostenere le donne più giovani perché possano anche loro fare un percorso di crescita. Il femminismo si basa su conquiste collettive e non individuali.