Intervista a GIOVANNA BADALASSI di JONATHAN FERRAMOLA
Il manifesto che ti accoglie quando visiti il loro sito web è d’impatto, di quelli scritti per far riflettere più che per strizzare l’occhio al marketing. E ci riesce, perchè colpisce al cuore il nocciolo del problema di questi tempi che viviamo: l’economia di genere.
“Regine dell’economia familiare. Ma dell’economia pubblica? Quella che decide del nostro destino? Del nostro lavoro? Del futuro dei nostri figli e delle nostre figlie? Non sarà il caso che anche noi cominciamo ad occuparcene?”
Sono due ricercatrici, Giovanna Badalassi e Federica Gentile, che hanno fondato nel 2014 “Ladynomics”, un osservatorio per parlare di economia dalla prospettiva delle donne. Non solo di quello che le riguarda direttamente, ma soprattutto della visione sull’economia e la politica che la governa. Contatto Giovanna per fare due chiacchiere e farmi raccontare un po’ la sua storia e la loro storia: “Ho mescolato tanti tipi di studi e tanti abiti professionali diversi quindi sono un po’ trasversale a diversi modi di lavorare. Ho iniziato come revisore contabile poi mi sono messa in ambito privato aziendale e da lì ho iniziato a fare la consulente per il pubblico negli anni in cui aprivano i centri per l’impiego e c’era da gestire finanziamenti dal Fondo Sociale Europeo: facevo tutta la parte di osservatorio sul mercato del lavoro, analisi statistica, analisi delle procedure, e monitoraggi, quindi sempre studi di carattere tecnico-statistico di supporto alle politiche per il lavoro e per la formazione ma in maniera del tutto casuale. Da lì ho iniziato a lavorare sui bilanci di genere, perché in quegli anni l’Unione Europea sosteneva molto il gender mainstreaming e lo sviluppo dell’empowerment femminile attraverso le politiche del lavoro e la formazione. Questa cosa è piaciuta tantissimo e quindi ho iniziato a lavorare sempre di più sui bilanci di genere nei territori, ne ho fatti circa una quarantina e a quel punto ho deciso di specializzarmi su tutte le tematiche di pari opportunità, politiche di genere, economia di genere ecc… allo stesso tempo ho iniziato a costruire una base teorica collaborando con l’Università di Modena, con la quale ho fatto diversi progetti, sempre da consulente esterno, creandomi un profilo da ricercatrice indipendente e trasversale al mondo aziendale, al mondo pubblico e alle Ong. In quel periodo ho conosciuto Federica Gentile e con lei abbiamo dato vita a “Ladynomics”: un portale che ha un taglio divulgativo, di condivisione e di conoscenza. Oggi siamo molto soddisfatte, è ben posizionato sui contenuti che vogliamo veicolare e senza pretese di grandi numeri, funziona bene.
Come valuta la qualità del dibattito su questi temi?
A tratti è molto discontinuo, a volte disallineato dai fatti, frammentato: sicuramente il livello del dibattito è molto calato, anche in ambito accademico. Nel senso che negli anni ‘90 c’era molta più permeabilità tra Università, amministrazioni ed enti del territorio. C’erano risorse che finanziavano attività di ricerca/azione e quindi c’erano molte ricerche e progettualità condotte dalle Università su questi temi. Parlo in generale, poi chiaramente ogni Regione ha una situazione a sé ed ha portato avanti le sue cose, però diciamo che tendenzialmente c’è stato un forte impoverimento di elaborazione di contenuti: perché un conto è fare il post su un sito o una pagina Facebook di denuncia, un altro è produrre contenuti seri e approfonditi. Per quello ci vogliono per forza le risorse: non ti puoi appoggiare sempre sul volontariato, cosa che tendiamo a fare. L’Unione Europea ha finanziato sempre meno e l’Italia non ha mai finanziato più di tanto. Da 2010 in avanti si è ritirata tutta la generazione che aveva portato i gender studies in Italia, la generazione degli anni ‘70 e non c’è stato un adeguato ricambio generazionale perché comunque il dibattito negli anni ‘80 era completamente diverso e non c’è stato un passaggio di consegne vero e proprio. Quindi ora che abbiamo ricominciato a ragionare di contenuti, perché la crisi covid è stata uno shock per le donne anche da questo punto di vista, è chiaro che bisogna far ripartire anche le ricerche, gli studi e gli approfondimenti. Aggiungo che anche il discorso politico è povero da questo punto di vista: negli ultimi 10 anni si è parlato di tutto tranne che di politiche di genere o politiche per il lavoro o welfare. Insomma notevoli passi indietro che è dura colmare…
Quali consigli ti sentiresti di dare al movimento femminista in questo momento post pandemia?
Io do consigli dalla mattina alla sera, nel senso che io ho fatto presente a tutti che finché non si inizia a discutere seriamente sui contenuti e a cambiare le modalità di relazione in maniera un po’ più professionale, non riusciremo a progredire. C’è proprio un misunderstanding sull’associazionismo nel senso che persone che hanno anche delle carriere professionali molto precise e molto rigorose quando si calano nella loro dimensione attivista cambiano paradigma e iniziano a parlare di amicizie, di relazioni personali e questo impegno diventa un ibrido che non riesce a dare il meglio. Spesso inoltre occorre superare malumori, le frammentazioni. Credo che sia difficile fare attivismo senza soldi, invece è ancora molto radicata la mentalità che l’attivismo deve essere puro, quindi a costo zero, ma questo limita molto la visione e la capacità di incidere. Insomma occorre sviluppare maggiore capacità di lavorare in gruppo, aggregare consenso e avere un obiettivo comune.
RIVOLUZIONE SOLIDALE
COSPE lavora sui temi dell’Economia Sociale e Solidale in Tunisia da molti anni, coinvolgendo, la società civile, il tessuto imprenditoriale locale e le istituzioni. Nel 2020 è stato tra i promotori della campagna “TounESSolidaire”, lanciata il 7 maggio 2020 con una lettera aperta inviata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Parlamento e
al Primo Ministro tunisino e firmata da 106 soggetti. “TounESSolidaire” per la prima volta ha posizionato gli attori Ess come soggetti sociali e non solo come soggetti economici. Un risultato quasi rivoluzionario che dà voce a tanti soggetti diversi e che ha già portato a grandi successi. Tra questi l’approvazione della legge sulla Ess, il 17 giugno dello scorso anno con 131 favorevoli e 1 astenuto e con un testo che ha tenuto presente alcune delle richieste. Il periodo dell’emergenza da Covid-19, tra il marzo e il maggio 2020, ha messo in luce il settore dell’Ess perché è da qui che sono arrivate le risposte più celeri e concrete per i cittadini. Un esempio: a Sousse e a Tunisi alcune Start Up di giovani si sono messe a stampare mascherine e visiere in 3D colmando le carenze statali, a Jendouba il “Centro Donna Rayhana” ha realizzato campagne video e radio per diffondere corrette informazioni sulle misure da adottare contro il contagio, a Mahdia e Sidi Bouzid, i poli citESS, con cui lavoriamo, hanno sostenuto la distribuzione di panieri alimentari per le famiglie più in difficoltà.