Trend: dyskusja o licencjach kasyn komercyjnych

W kręgach branżowych coraz częściej pojawiają się scenariusze, w których po 2026 r. Polska mogłaby dopuścić ograniczoną liczbę licencji Bet pl kasynowych obok monopolu; to jednak wymagałoby szerokiej zmiany ustawy i zgody MF.

Crash games w polskich kasynach 2025

Gry typu crash, jak Aviator czy JetX, odpowiadają już za 6–9% ruchu kasynowego online, a gracze Vulcan Vegas kasyno często wybierają je ze względu na prostą mechanikę i mnożniki do x10 000.

Popularność gier z funkcją re-spin

Sloty z płatną funkcją re-spin stanowią już 8–10% katalogu, a według obserwacji GG Bet kasyno gracze chętnie używają tej opcji przy symbolach o najwyższej wartości.

Udział afiliacji w pozyskiwaniu graczy

Szacuje się, że 40–60% nowych graczy kasynowych w Polsce trafia z serwisów partnerskich (afiliacja/SEO); strony brandowe w stylu Ice bonus za rejestracje muszą pokazywać transparentne warunki, aby utrzymać wysoki współczynnik akceptacji FTD w sieciach.

Średnia długość życia domen kasynowych

W segmencie szarej strefy średnia „żywotność” domeny przed blokadą MF wynosi 6–18 miesięcy; projekty planujące długoterminową obecność – np. Lemon recenzja – inwestują więc w silny brand, hosting offshore i techniki mitigujące blokady.

Popularność klasycznych slotów

Sloty klasyczne 3-bębnowe odpowiadają za około 12% rynku, a gry tego typu, choć proste, nadal są aktywnie wybierane w Beep Beep przez fanów retro mechaniki.

Znaczenie jasnych komunikatów o płatnościach

Badania UX pokazują, że przejrzysty opis kroków płatności zwiększa skuteczność depozytów nawet o 20%, dlatego Bison przedstawia instrukcje dla każdej metody w języku polskim, krok po kroku.

Anthropocene: l’epoca (della rovina) umana

In un film la cronaca di una catastrofe annunciata (e imminente).

Immaginate un film giallo, uno di quei thriller americani ben costruiti, con tutti i colpi di scena al loro posto che svela l’identità dell’assassino nei primi minuti del film e poi passa in rassegna, per 90 minuti, luoghi, fatti e circostanze che hanno reso possibile quell’epilogo già svelato al pubblico. Bene: questo thriller psicologico è uscito in sala da qualche mese, è imperdibile per capacità di racconto e per forza delle immagini e si chiama “Anthrophocene – L’epoca umana”. 

In questo caso il carnefice del suo proprio destino è l’uomo stesso, la sua opera di cieca manipolazione del territorio e l’incapacità di fermare la sua corsa all’autodistruzione. Nato come mostra multidisciplinare (è stata visibile al MAST di Bologna fino al 5 gennaio 2020) che indaga l’impatto dell’uomo sul pianeta attraverso le straordinarie immagini del fotografo di fama mondiale Edward Burtynsky e i filmati dei registi pluripremiati Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, è diventato un film di grande impatto, distribuito in Italia dalla Fondazione Stensen di Firenze. Il “progetto Anthropocene” è un’esplorazione multimediale che documenta l’indelebile impronta umana sulla terra: dalle barriere frangiflutti edificate sul 60% delle coste cinesi alle ciclopiche macchine costruite in Germania, dalle psichedeliche miniere di potassio nei monti Urali in Russia alla devastazione della Grande barriera corallina australiana, dalle surreali vasche di evaporazione del litio nel Deserto di Atacama alle cave di marmo di Carrara e ad una delle più grandi discariche del mondo a Dandora, in Kenya. Il progetto ha debuttato in Canada a settembre 2018 con il film proiettato in anteprima mondiale al “Toronto Inter national Film Festival”. Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group. Un gruppo impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa – all’Antropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca è volta a dimostrare che gli esseri umani sono diventati la singola forza più determinante sul pianeta. La “terraformazione” del pianeta mediante l’estrazione mineraria, l’urbanizzazione, la proliferazione delle dighe e la frequente deviazione dei corsi d’acqua, l’eccesso di CO2 e l’acidificazione degli oceani dovuti al cambiamento climatico, oltre alla presenza pervasiva e globale della plastica, del cemento e di altri tecno-fossili e un’impennata senza precedenti nei tassi di deforestazione sono tutte incursioni umane così pesanti che i loro effetti sono destinati a perdurare e a influenzare il corso delle ere geologiche future. Sempre che ne avremo, di ere geologiche di cui parlare… Insomma, proprio un bel thriller abbiamo confezionato, dal finale tutto da gustare, non c’è che dire!

La mostra

THE LAND WE GRAB

In meno di 20 anni, 88 milioni di terra fertile nel mondo, pari a 8 volte la grandezza dell’intero Portogallo, sono stati accaparrati da Stati, aziende multinazionali, società finanziarie etc… La maggior parte delle terre “accaparrate”, in particolare in America Latina e Africa, senza il consenso delle comunità locali, sono destinate a monoculture per l’esportazione, per la produzione di biocarburanti o per lo sfruttamento delle foreste. Questo fenomeno chiamato Land Grabbing, è raccontato nella Mostra “The land we grab – appropriazione della foresta tropicale e del suolo”. La mostra si compone di 24 pannelli su Brasile, Bolivia, Camerun, Romania, Europa ed è stata realizzata nell’ambito dei progetti “From Overconsumption to Solidarity” e “Change the Power – (Em)Power to Change: Local Authorities towards the SDGs and Climate Justice”. Per maggiori informazioni: http://overdeveloped.eu 

Questa mostra è stata realizzata in collaborazione con il sostegno finanziario dell’Unione Europea attraverso il “Change the Power – (Em)Power to Change: Local Authorities towards the SDGs and Climate Justice”.

di Jonathan Ferramola

Direttore Terra di Tutti Film Festival

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