— Astoria, famosa azienda veneta di vini, combatte i discorsi d’odio online lanciando una campagna che coinvolge atleti italiani di origine straniera
Tra una degustazione e un incontro di sommelier quest’anno al Vinitaly, salone internazionale più grande del mondo dedicato ai vini, che si svolge tutti gli anni a Verona, una campagna sociale ha attirato l’attenzione e fatto notizia. Astoria Vini, marchio famoso per il prosecco e azienda familiare che produce vini di qualità nel famoso distretto di Conegliano e Valdobbiadene, ha lanciato “Speak out aganist hate speech-atleti contro il razzismo” un video e una campagna sociale sul contrasto ai discorsi di odio. “Astoria ha lanciato la sua prima campagna contro il razzismo 26 anni fa quando io ero ancora bambina”, racconta Carlotta Polegato, brand communication manager dell’azienda e figlia di uno dei titolari, che è anche una delle ideatrici della campagna, nata sull’onda emotiva dell’aggressione alla discobola italiana di origini nigeriane Daisy Osakue e soprattutto delle offese sui social che hanno preceduto e seguito i fatti di Torino.
È sempre Carlotta che suggerisce la frase di Martin Luther King che accompagna la grafica della campagna “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”. Secondo Carlotta infatti “è importante che sia un brand a parlare per promuovere delle idee” e non solo per assolvere alle indicazioni di responsabilità sociale e tanto meno, come li hanno accusati taluni, per farsi pubblicità. “Credo che sui temi sociali sia importante esporsi e che quando parla un’azienda venga più ascoltata. Non è un’operazione di marketing. Anzi è più un rischio in questo momento mettersi allo scoperto su questo tema”.
E se nel settore vitivinicolo non c’è stato un effetto emulazione, altre aziende nel campo della gioielleria o in campo editoriale hanno espresso apprezzamenti e si sono dette interessate a svolgere azioni analoghe.
Reazioni positive l’azienda le ha raccolte anche da singoli cittadini e da molte organizzazioni, tutte però, sottolinea Polegato, espresse per mail o direttamente. Sui social invece ci sono stati moltissimi attacchi negativi tanto che l’azienda è stata costretta a rimuovere alcuni messaggi.
Per questo Astoria è sempre più convinta di aver centrato il tema della campagna che ha lanciato e attende con curiosità gli esiti del bando rivolto a filmmaker e videomaker di tutta Italia, a supporto di progetti a tema “No Hate Speech”. La proposta più in linea con i valori e lo stile di Astoria, verrà finanziata.
Nella campagna aziendale i protagonisti sono sei atleti italiani di origine straniera, che partendo dagli insulti ricevuti rispondono raccontando in modo positivo il loro essere italiani e la loro passione per lo sport e la maglia azzurra. E i mondiali di calcio femminile con le ormai tristemente immancabili scie di polemiche, anzi attacchi, sui social alle atlete di origini straniere confermano che la scelta è purtroppo sempre di grande attualità.
Il contrasto all’odio online e lo sviluppo di efficaci contronarrazioni esigono oggi in Italia uno sforzo congiunto della società civile, della scuola e anche delle imprese responsabili che comprendono il valore della coesione sociale, visto che dalla politica purtroppo non ci possiamo aspettare risposte a breve e neppure a medio termine. Una consapevolezza di vivere una fase storica delicata e di dover dare risposte immediate, che Carlotta Polegato conferma: “La voce di un’azienda è oggi più forte di molti operatori di settore e per noi fare campagne sociali ha ed è un valore”.
L’opinione – SPORT E RAZZISMO / Il punto di vista di Mauro Valeri
Gli atleti della campagna Astoria sono Eyob Faniel, Aqdeir Najla, Yohanes Chiappinelli, Yassin Bouih, Eusebio Haliti, tutti della nazionale di atletica leggera, e la tuffatrice Noemi Batki. Nello spot si vedono loro che reagiscono e commentano alcune delle offese social che circolano in rete contro gli atleti di origine straniera. “Sul campo o in pista siamo tutti uguali amici e rivali allo stesso tempo. Sarebbe bello che nella vita questo si ripetesse, dice Najla, nel video”.
D’accordo anche Mauro Valeri, sociologo esperto di razzismo nello sport e autore tra gli altri dei libri “Black italians. Atleti neri in maglia azzurra” e “Che razza di tifo. Dieci anni di razzismo nel calcio italiano”: “Lo sport -dice – è davvero un mezzo di integrazione se lo si lega al concetto di cittadinanza, è davvero un mezzo utile e privilegiato per cambiare la società.
Eppure anche in questo ambito c’è molto da fare: dalle regole di tesseramento degli atleti di origine straniera, dal controllo degli episodi razzisti allo stadio fino al cosiddetto ius soli sportivo, che dà la cittadinanza agli atleti forti ma non cambia la legge”. “Il sistema sportivo – continua- è ancora fortemente discriminatorio: sono pochi gli atleti neri che giocano nelle nazionali e che partecipano alle Olimpiadi. Negli ambienti decisionali del mondo sportivo c’è una forte visione nazionalista, nessuno pensa davvero al cambio della legge sulla cittadinanza, ma alcuni sono favorevoli a uno ius soli sportivo: sei forte? ti do la cittadinanza sportiva perché mi serve che tu vinca. Questo cambierà la sorte del singolo ma non cambierà mai la società. È assurdo, ad esempio, che le Federazioni sportive non siano al tavolo della cittadinanza, come soggetto politico.
Alcune Federazioni come quella di atletica sono un po’ più avanti, hanno a che fare con i singoli e sono sempre di più i ragazzi di seconda generazione che emergono in questo sport, perché l’atletica è riscatto individuale. Il calcio (dalla dirigenza ai tifosi) è ancora un mondo profondamente razzista, prima si è tifosi e poi si è antirazzisti. Il caso Balotelli è esemplare: nonostante le tante offese razziste in campo e fuori mai nessuna battaglia è stata fatta per e con lui. Ma se “Buh!” gridato allo stadio non è razzismo, come dice Salvini e molti altri, cosa lo è? Dobbiamo aspettare lo sterminio?”. Secondo Valeri il non prendere posizione su quello che avviene nel mondo sportivo da parte del movimento antirazzista, è un retaggio del passato: “Lo sport nell’ambito culturale della sinistra degli anni Sessanta e Settanta è stato snobbato, perché borghese”. Eppure alcune cose si stanno facendo e la campagna di Astoria ne è la testimonianza. “Certo, ci sono imprenditori illuminati, c’è il movimento dello sport popolare, ci sono piccoli passi avanti, ma anche la narrazione dello sport deve cambiare, si devono esaltare gli aspetti positivi e far passare il messaggio che lo sport è davvero un mezzo utile per cambiare la società e legarlo al concetto di integrazione. Questa è la sfida futura”.